Mi ritrovo qui a raccontare una storia, la mia storia o meglio la storia di me e Lola. Lolita, Lola o Lolalola, una meticcia di 7, 8 massimo 9 kg, un orecchio su e uno giù. Come dimenticare quella faccia da schiaffi. Il mio primo incontro con Lola è stato il frutto di una delle tante soffiate anonime di mio padre, che quando vedeva un randagino girare per il paese non poteva fare a meno di avvertirmi all’istante. Avevo 13 anni, era l’estate del 2005. Quel giorno ero a casa di mia sorella quando il mio cellulare cominciò a squillare: “Pronto?” “Ehi Diana” sentii mio papà parlare a bassa voce dall’altro capo del telefono. “Qui in farmacia questa mattina è entrata due o tre volte una cagnolina, è già da qualche giorno che la vedo girovagare in queste zone. Chissà se l’hanno abbandonata?! Mi raccomando eh! Io non c’entro niente..se mamma chiede dove l’hai trovata inventati qualcosa!”. Chiusi il telefono, mi alzai di scatto e misi le scarpe al volo. Uscii a piedi per andare ai giardinetti vicino la farmacia dei miei genitori, lì dov’era avvenuto l’ avvistamento. Era una tarda mattinata d’estate, al parco c’erano solo dei bambini che giocavano accompagnati dai rispettivi genitori. Della cagnolina neanche l’ombra. Mi appostai lì ad aspettare. Dopo qualche minuto (non sono mai stata molto paziente) corsi in casa che in quel periodo stavamo ristrutturando ed era un vero e proprio cantiere. Entrai nel garage e presi una scatoletta di carne per gatti, un piattino di carta e uscii di nuovo. La cagnolina ora era lì fuori ai giardinetti girovagando e annusando a zigzag, raccogliendo tutti gli odori e le informazioni dalla terra. La chiamai: “Ehi, vieni qui”. Lei si girò, mi guardò, fece qualche passo e si fermò un po’ incerta. Allora le aprii la scatoletta che avevo in mano e la chiamai di nuovo. Stavolta venne senza esitazione, provai a farle due carezze ma non aveva occhi che per la scatoletta, le misi la carne nel piattino e gliela diedi. La divorò in un istante. Questo fu il nostro primo incontro e, per i due o tre giorni seguenti, fu anche il nostro appuntamento quotidiano. Per ogni cane o gatto randagio che incontravo il copione era sempre lo stesso. Tutti i giorni gli davo la pappa nello stesso punto così che sarebbe stato spinto a tornare. Poi una volta arrivato il venerdì sera l’avrei portato a casa con me dicendo a mia mamma che l’avevo trovato in giro, ma che il canile sicuramente sarebbe stato chiuso il weekend (mia mamma non ha molta dimestichezza con canili o strutture simili e neanche io all’epoca quindi ci credeva) e quindi avremmo dovuto ospitarlo noi almeno fino a lunedì, tempo necessario per convincerla a tenerlo. Così feci. In quel periodo la nostra casa era in ristrutturazione e noi vivevamo in roulotte, il venerdì sera la portai lì. Mia mamma come al solito non era d’accordo, ma io e mio papà eravamo dalla stessa parte. Si lasciò convincere. Il lunedì seguente portammo la cagnolina dal veterinario per vedere se era intestata a qualcuno. Nessun microchip, circa 6 mesi di età e sembrava non avere un proprietario. Senza esitare io e mio papà decidemmo di tenerla e quindi microchipparla. Lolita, ecco il suo nome all’anagrafe canino, ma per tutti quanti è sempre stata Lola. Le prime settimane le passammo insieme vivendo in roulotte. poi quando la ristrutturazione della casa fu terminata ci trasferimmo. Avevamo un bel giardino recintato dove Lola poteva scorrazzare e pensammo subito che le sarebbe bastato. Beh non fu così. Appena ne aveva la possibilità Lola si arrampicava lungo la recinzione e se ne andava in giro per il paese. Noi, ogni volta spaventatissimi, giravamo per le vie per riacciuffarla. A quel punto mio padre rinforzò la recinzione mettendo una rete alta e fitta che Lola non sarebbe riuscita a scavalcare. L’avevamo sottovalutata. Era troppo forte per lei questo desiderio di uscire, di andare ad esplorare, conoscere cose nuove, persone. E questo non riuscimmo a capirlo subito. Accecati dalla nostra idea di vita ideale per un cane di casa, un cane da giardino, continuavamo a costruire recinzioni sempre più alte e difficili da aggirare. Quando Lola riusciva a scappare se ne stava via per ore, a volte anche giorni.
Parlando con alcune persone del paese scoprimmo che, prima di noi, Lola era stata per qualche giorno adottata da altre famiglie. Però ogni volta dopo pochi giorni se ne andava, o dimenandosi dal guinzaglio e sfilandosi il collare o scappando dal recinto. Insomma a lei la vita da cane da giardino stava stretta. Dopo mesi e mesi di fughe io e mio papà ci chiedemmo se fosse il caso di togliere tutte le recinzioni e lasciarla andare quando voleva, visto che tutti i nostri tentativi di fermarla non avevano funzionato. La decisione ufficiale di lasciare Lola libera di girovagare per il paese in realtà è stata per noi una scelta difficile e combattuta. Diciamo che in un certo senso è stata proprio lei ad obbligarci a prenderla. Pur di uscire si arrampicava sulla recinzione diventata ormai altissima e pur di andare via si feriva a volte le zampe. Alla fine ci decidemmo: via tutte le recinzioni una volta per tutte! Dal quel momento in poi tutto cambiò! La cosa che ci sorprese di più è che da quando le lasciammo la possibilità di uscire Lola non stava più fuori per tante ore o giorni, tornava puntualmente a casa per tutti quelli che erano i rituali condivisi dalla famiglia. Lola si svegliava, usciva di casa la mattina in giardino e dopo due o tre abbai ai passerotti che si posavano vicino la sua ciotola balzava fuori in strada ed andava a farsi il suo giretto quotidiano. All’ora di pranzo quando mia mamma tornava da lavoro per preparare il pranzo a me e mio papà Lola si faceva trovare lì, pronta a partecipare insieme a noi a quest’evento. Dopo pranzo si addormentava per qualche ora nella sua cuccia, oppure insieme a me sul divano. Intorno alle 16:00 tutti tornavano a lavoro e anche lei aveva il suo da fare. Cosa facesse durante tutto questo tempo non lo sapevamo per certo, avevamo solo i racconti dei negozianti del paese ai quali Lola andava a fare un saluto praticamente ogni giorno. I più scorbutici la cacciavano via, altri invece diventarono suoi amici. Il macellaio era uno dei suoi preferiti, andava lì da lui e, anche se non l’ho mai vista, posso immaginare l’espressione che aveva quando andava ad elemosinare gli scarti della cotica del prosciutto. Con quella posizione da cane modello, seduta, testa alta e quegli occhi neri che diventavano il doppio del solito. Alle volte invece dopo pranzo andava a casa di mia sorella che abitava in un appartamento al terzo piano. Lola arrivava fin sotto il palazzo del condominio e cominciava ad abbaiare per farsi sentire, mia sorella si affacciava dal terrazzo, scendeva e apriva il portone. Se invece il portone era già aperto Lola saliva direttamente fino al terzo piano e davanti la porta dell’appartamento faceva due abbai e aspettava che mia sorella le aprisse per farla entrare. Restava lì per un pò a poltrire, poi la accompagnava a lavoro. A volte andava anche a riprenderla per riaccompagnarla a casa e certe sere restava a dormire lì. Il ricordo più divertente che ho di Lola è il nostro rituale mattutino. Ero un’adolescente all’epoca e vivendo in periferia i miei mi avevano comprato un macchinino di decima mano con il quale andavo a scuola. Tutte le mattine partivo presto e Lola usciva con me. Quando mettevo in moto il mio macchinino e partivo, Lola si affiancava a tutta velocità , con la sua postura aerodinamica. Orecchie tirate indietro, coda e schiena dritta. Ai 40 km orari costeggiavamo i giardini pubblici fuori casa mia e arrivate all’incrocio della strada principale lei si fermava e io continuavo dritta verso il liceo. Ancora mi viene da sorridere se penso a tutte le storie che potrei raccontare su Lola, come quel giorno in cui è tornata a casa mogia mogia, con la faccia stanca, come fosse malata. Noi della famiglia ce ne accorgemmo subito e cominciammo a studiare la situazione per capire cosa potesse avere, se la cosa era da considerarsi grave oppure no. Lola era tutta incurvata, se ne stava immobile e ci guardava con gli occhi semi chiusi, un po’ spenti. Provavamo a darle l’acqua e non beveva, le davamo il cibo e non mangiava. Mio padre era convinto che qualcuno l’avesse avvelenata, o che avesse mangiato qualcosa di tossico durante uno dei suoi giri. Così la caricammo in macchina e corremmo veloci dal veterinario, ormai pronti al peggio. Dopo un’accurata visita ecco la diagnosi: INDIGESTIONE!! Venimmo infatti a sapere che il giorno prima Lola aveva ricevuto un gran bel regalo dal macellaio: l’intero osso del prosciutto con i relativi scarti. Evidentemente la gioia e la soddisfazione di aver conquistato quella prelibatezza erano state talmente forti
che non era riuscita a resistere. Aveva mangiato talmente tanto che il giorno dopo non riusciva neanche a stare in piedi dal bruciore di stomaco!
Il massimo della complicità tra me e Lola veniva fuori durante le litigate adolescenziali tra me e i miei genitori. Ancora mi chiedo come fosse possibile, ma quando c’era una discussione in casa, Lola c’era sempre! È strano, perché Lola era davvero in giro tutto il giorno senza che noi sapessimo dove fosse, ma appena si accendeva qualche battibecco puntualmente sentivamo raspare al portone di fuori o ci accorgevamo che era già tornata. Appena si alzavano un po’ di più i toni Lola si affiancava a me e cominciava a ringhiare e ad abbaiare. Quando la discussione era ancora più accesa e io uscivo di casa arrabbiata per andare da mia sorella o a fare un giro, Lola veniva con me e mi accompagnava ovunque stessi andando, trotterellando al mio fianco calma e rilassata, tanto che alla fine riuscivo a calmarmi anch’io, mi accucciavo, ci facevamo due coccole in mezzo alla strada e poi continuavamo. Di storie su Lola potrei raccontarne all’infinito, ci potrei scrivere un libro, ma questo è solo un racconto quindi devo contenermi. Insomma la verità è che Lola è stata per 6 anni non solo il cane della mia famiglia, è stata il cane del paese, il cane del macellaio, del ferramenta, dei bambini che giocavano ai giardinetti. Mi ha accompagnato durante tutta la mia adolescenza, una compagna sempre presente: per me e per tutti noi.
Sono stata fino all’ultimo molto indecisa se raccontare la fine di questa splendida storia fatta di tanti momenti, di legami e di libertà. E alla fine ho deciso di lasciare in sospeso il finale, non voglio raccontare il il perché Lola non sia più con me, con la mia famiglia, non girovaghi più ormai da qualche anno per il mio paese. Voglio continuare a vivere fino in fondo ogni ricordo divertente e tenero che ho di Lola e della mia vita con lei. Ancora oggi il solo pensarla mi riempie, mi da una forza incredibile e un senso di aria fresca, di libertà. E penso a tutto quello che abbiamo condiviso, ai nostri rituali, al nostro primo incontro, agli attimi di complicità, a quello che Lola ha lasciato nella mia vita, nella vita dei miei familiari e nelle persone del paese. Penso alla mia dolce Lolita, al cane più tenace, forte e determinato che abbia mai conosciuto, alla mia compagna di adolescenza, a tutto quello che mi ha insegnato. Ciao piccola Lola e grazie di tutto.